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Advocacy, Attivismo

Lesbica: il lungo riscatto di un’identità

Autore: Nausica Federico

Lesbica è una parola che si porta dietro un carico denigratorio troppo pesante da ignorare, e fin tanto che sarà così, io continuerò ad usarla e alla meglio risignificarla.

Monique Wittig

Origine e significato del termine

Il termine "lesbica" deriva dal nome dell'isola greca di Lesbo, patria della poetessa Saffo, vissuta nel VI secolo a.C. È solo nel XIX secolo che il termine "lesbica" ha iniziato a essere utilizzato con il significato moderno di donna attratta da altre donne.

La parola "lesbica" non è solo una definizione di orientamento sessuale, ma rappresenta anche un'identità culturale e politica. Per molte donne, definirsi lesbiche è un atto di autoaffermazione e di resistenza contro una società che spesso le emargina, le invisibilizza e le discrimina doppiamente sia per motivazioni misogine che omofobe (definizione del termine lesbofobia, che approfondiremo).

Il significato attuale della parola lesbica è parte integrante di un riscatto durato secoli. L'attuale accezione si fa coincidere temporalmente alla metà del 1800, dove in letteratura viene utilizzata la parola “lesbismo" nonostante le prime presenze si attestano in Francia già a partire dal XVI secolo (con il termine lesbienne).

Attraverso gli scritti di Baudelaire del 1850, il termine riesce a diventare parte integrante del patrimonio linguistico. Prima di questo momento, la parola "lesbica" descrive semplicemente gli aspetti relativi all'isola di Lesbo (la stessa parola lesbica viene intesa come abitante dell'isola di Lesbo), attraverso l'esistenza di Saffo.

L'apparizione del termine lesbica nei primi dizionari medici si attesta intorno al 1890 e viene utilizzato per descrivere l'atto sessuale tra due donne (definibile anche come tribadismo). È dal 1900 che comincia il lungo calvario che attribuisce alla parola lesbica una connotazione del tutto negativa, poiché interpretata come l'equivalente al maschile di sodomita, insulto riservato ai gay.

L'invisibilizzazione della comunità lesbica

È così che la società ci fa diventare devianza, ci nasconde, ci accusa, ci punisce.

L'invisibilizzazione comincia sin dalla civiltà ellenica, dove l'omosessualità maschile (definita pederastia) aveva una funzione sociale e specifica spesso identificata e riconosciuta anche da correnti filosofiche. Di omosessualità femminile non vi è traccia se non attraverso Saffo e i suoi frammenti che raccontano di amore (e anche di lussuria) tra due donne. Ma la stessa morte di Saffo verrà oscurata dal presunto amore di un uomo che, rifiutandola, la spinse al suicidio: quanto di questo è vero e quanto invece è frutto di rivisitazione storica eteronormata?

Durante il regime nazista, le donne lesbiche vengono marginalizzate e invisibilizzate. Vengono classificate come “asociali", non vengono riconosciute nella loro componente omosessuale, muoiono nei campi di concentramento con voci inascoltate e subordinate dal doppio stigma che si portano dietro: quello di essere donne, e quello di essere lesbiche. Nessuna di loro verrà ricordata come tale.

Il riscatto e la rivendicazione della nostra identità sessuale cominciano con Monique Wittig, tra le fondatrici del "Movimento di liberazione delle donne" in Francia (1970) che dedicò la propria vita da attivista a risignificare la parola lesbica e far sì che avesse connotazione d'orgoglio, e non di vergogna. Si presenta nel 1978 a New York in una conferenza di linguisti, recitando le parole che è possibile leggere all'inizio di questo testo.

Altra personalità decisiva per il riscatto della parola lesbica fu Charlotte Wolff che adottò spesso per definire i movimenti di liberazione sessuale delle donne nate proprio negli anni '70 in tutto il mondo (anche in Italia!).

Per questo è oggi più importante che mai pretendere di essere visibili, definirsi lesbiche, definirsi libere. La nostra storia comincia nella commemorazione della nostra identità, nel riscatto sociale in un contesto fallocentrico e patriarcale, nei tentativi spesso fallimentari di emergere anche negli spazi LGBT monopolizzati dalla controparte omosessuale maschile.